INDECOROSO QATAR

una macchia sulla storia del calcio che i tifosi purtroppo dimenticheranno facilmente.

6500 vite distrutte per costruire colossali impianti di ultima generazione da utilizzare per un solo mese prima di venire distrutti. Il prezzo da pagare per poter disputare la controversa edizione del Campionato del Mondo 2022, svoltosi, per l’appunto, in Qatar, un Paese tristemente noto per le costanti violazioni dei diritti umani anche nell’ormai lontano 2010. Nel famigerato dicembre di quell’anno, quando l’allora presidente della FIFA, lo svizzero Sepp Blatter , annunciò in diretta televisiva la sorprendente assegnazione dei mondiali al Qatar, uno Stato che, oltretutto possiede una tradizione sportiva pressoché nulla. Corruzione dilagante, interessi politici sempre crescente e gli allettanti proventi ricavabili dai diritti televisivi, sono stati ciò che ha spinto a votare  per il Qatar.


In questo clima generale di scandali e conseguenti indagini, la fatidica data della partita d’esordio tra Qatar e Senegal non è stata attesa dal grande pubblico con particolare trepidanza: eppure, questa edizione, nonostante l’assenza della nostra nazionale, è riuscita a catturare l’attenzione su un piano umano-sociale per due avvenimenti degni di nota. Innanzitutto  

 l’emblematica scelta della nazionale dell’Iran di rifiutarsi di cantare l’inno nazionale per protestare contro le brutali violenze sulle donne perpetrate dal proprio governo sulle donne. Una scelta che trasuda certamente di  coraggio ma che, soprattutto, ci ricorda che nel mondo del calcio, ormai sempre più popolato da mercenari, ci siano ancora uomini degni di questo nome, capaci di esporsi anche se il prezzo da pagare potrebbe coincidere con la cacciata dalla Nazionale, l’arresto sino ad arrivare (seppur in casi estremi) alla condanna a morte.

Se i diritti delle donne nei Paesi mediorientali vengono spesso ignorati, non si può certo dire che si abbia considerazione maggiore di quelli reclamati dagli omosessuali: per protestare contro il divieto di indossare fasce arcobaleno, i calciatori tedeschi si sono coperti la bocca, un modo alternativo, al pari della fascia con la scritta “No discrimination” indossata dal portiere tedesco Manuel Neuer, per mostrare il proprio sostegno alla comunità LGBTQ+.

È chiaro che il Mondiale in Qatar verrà ricordato anche per i campioni che vi hanno preso parte: Messi, neo-campione del mondo, consacratosi definitivamente nell’Olimpo dei più grandi di sempre dopo la vittoria; l’esplosione di Mbappé, ormai visto dagli addetti ai lavori come l’erede della “Pulce”; la favola del Marocco, giunto in semifinale dopo aver eliminato autentiche corazzate come la Spagna e il Portogallo di Cristiano Ronaldo.

La prima cosa che però faremo quando i nostri nipoti vorranno sentire le storie sui Mondiali in Qatar sarà mostrare le foto di chi, in quegli insolitamente cocenti pomeriggi di novembre, si trovava a Doha per provare a costruire un mondo migliore anche per loro. Perché il calcio è anche questo: non è soltanto una rete che si gonfia, un cross sulla testa dell’attaccante o una diagonale difensiva…ma anche la più pacifica quanto tra le più efficaci forme di protesta e manifestazione.

Eros

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